Salviamo i semi

Salviamo i semi

Un cocomero nello scaffale di un supermercato nel nord della Baviera a febbraio… Sorgenti di acqua minerale del Cilento vendute a grandi multinazionali. Sementi scomparse perché non convenienti economicamente. Frutta e verdura scartate, quindi buttate, perché fuori dai canoni normativi del mercato. Monocoltura intensiva. E ancora: che il peperone Angello, un peperone senza semi all’interno, creato dalla Sygenta (dicono per facilitare il lavoro della casalinga), riceva il riconoscimento Fruit Logistica Innovation Award (2012) e possa essere distribuito in tutto il mondo (dalla Sygenta) … Beh! tutto questo fa pensare e pure rabbrividire.

Come dice Pierre Rabhi, nel film-documentario Au nome de la terre‚ i beni comuni (e con questo si intende Acqua, Terra, Semi …) sono oggetto di speculazione. In parole povere le multinazionali traggono profitto dai beni-comuni. Intanto, poteri rampanti della cosiddetta green economy, lo fanno o lo farebbero. E comunque il pensare comune é il guadagno, ma non di salute e di benessere … solo ed esclusivamente di soldi. Senza guadagno e senza soldi ogni progetto, ogni azione perde, nella nostra misera attualitá, di interesse.
Eppure sempre piú persone abbracciano la filosofia della condivisione, dell’amore incondizionato per la Terra, della gioia di vita, dei semi liberi. In momenti di felicitá si potrebbe paragonare quasi a un’onda, quella che Paul Hawken ha definito una “moltitudine inarrestabile” di piccole azioni e tante persone coraggiose che giorno per giorno e sempre di piú in silenzio si muovono per le stesse cause su tutto il pianeta.

Nel 2010 é uscito Soluzioni locali per un disordine globale, un film della regista francese Coline Serreau, nota ai più per Pianeta Verde (La Belle Verte) del 1996. Ricordate la locandina? Un pomodoro quadrato! Quadrato per poter soddisfare lunghi trasporti sempre più ottimizzati. Da qualche parte ho pure letto che ci hanno effettivamente provato in laboratorio … ma l’esperimento non é andato a termine come desiderato.

Nel documentario la regista incontra persone che applicano le proprie soluzioni ai disordini ambientali sparse in tutto il nostro pianeta, da Pierre Rabhi a Vandana Shiva, da Kokopelli a Serge Latouche e molti altri. Con questo lavoro vuole mostrare che ci sono in tutto il mondo, persone che, senza saperlo, fanno la stessa cosa, hanno la stessa filosofia di vita e utilizzano le stesse pratiche con Madre Terra, mettendo inoltre in evidenza l’universalità delle soluzioni, così come la loro profonda semplicità.

Seminare cambiamento

Se c’è una carestia, non mangeremo certo i nostri telefonini o i nostri computer! È fondamentale fare in modo che la gente ritorni alla terra oltre che a delimitare, intorno alle cittá, terreni da seminare, limitando cosí ulteriori aree edificabili. E non domani, ma oggi stesso.

In Germania nel 2014 nasce, da un’idea di due ragazze, Lea e Tanja, sulla scia di Taste the Waste, Culinary misfits: laboratorio, caffé e ristorante insieme, dove vengono utilizzate verdure e ortaggi la cui forma non rientra nelle norme dell’industria e che altrimenti verrebbero scartati … in poche parole: buttati! Oltre all’utilizzo delle vecchie, buone e nutrienti erbe spontanee.
Ad Iphofen – nel nord della Baviera – dal 2011 Barbara Keller organizza, col marito e il loro laboratorio Open house, ogni anno a febbraio, il Festival della semenza. Loro stessi hanno cercato, salvato e ora coltivano varie antiche sementi di legumi e patate per esempio. Due anni fa hanno ospitato all’evento annuale anche Vandana Shiva che, con Benedikt Haerlin (il berlinese d’adozione conosciuto per la direzione europea di Save our seeds – salva i nostri semi – e per la sua lotta alla manipolazione genetica dei semi), hanno contribuito affinchè i semi non siano completamente nelle mani delle multinazionali; l’uno a livello europeo anche istituzionale, l’altra ormai a livello globale.

Nel Golfo di Policastro dal 2008 Maria De Biase porta avanti una “rivoluzione sostenibile” ormai in piú istituti scolastici nel Basso Cilento, di cui è preside (come sanno bene i lettori e le lettrici di Comune, tra i primi a dare spazio a Maria, La scuola della terra). Il progetto è ispirato alla transizione e inserisce nella programmazione didattica la costruzione di strumenti che mettono i piccoli in grado di governare – anziché subire – gli inevitabili futuri scenari economici e sociali legati ai cambiamenti climatici e alla necessità di diminuire l’uso dei combustibili fossili. Lei sta seminando amore, si vede quando i bimbi la incontrano per strada o da quello che i bimbi raccontano a casa ai genitori. Dall’orto sinergico, alle merende col pane e l’olio, dalla raccolta dell’olio esausto per farne saponi alla costruzione di compostiere nelle case die concittadini interessati … Lo scorso dicembre é stata pure insignita del Premio di Cittadino europeo 2014 dalla Comunitá europea. Qualcuno la definí nel Golfo la Preside-Terra-terra in modo dispregiativo, quel nomignolo … le ha portato proprio fortuna a lei e a tutti i bimbi che hanno la fortuna di frequentare i suoi istituti.

Ovunque nascono gruppi di Salvatori di Semi. Incontri di scambi di semi, talee e marze brulicano in tutta Italia, in tutta Europa. In Lombardia vari Orti Botanici Universitari si sono uniti in una rete e hanno lanciato una bellissima pratica dal nome Adotta un seme.

Insomma, pare che piantare il cambiamento sia una questione di semi.

Di chi sono i semi?

Di certo, la libertà di gestire i semi e la libertà dei coltivatori sono minacciate dai nuovi diritti di proprietà e dalle nuove tecnologie che stanno trasformando i semi da bene comune condiviso del mondo contadino a un bene di consumo sotto il controllo centralizzato delle multinazionali.
Per chiarire un po‘ la situazione attuale, che pare molto confusa e spesso manipolata occorre precisare che in Europa non é vietato scambiarsi i semi e neppure coltivare i propri semi … Non é legale solo vendere la produzione che deriva da coltivazioni di semi non contenuti nel Registro europeo dei semi o nel Registro Nazionale delle varietá. Per vendere gli ortaggi, le verdure, i frutti insomma bisogna utilizzare i semi previsti dal Registro Nazionale delle Varietà ossia quelli, almeno per quanto riguarda l’Italia, registrati come semi autoctoni antichi e comunicati dalle varie Regioni italiane.

I semi registrati devono avere la caratteristica di mantenere nel tempo la loro consistenza e restare omogenei (forma, grandezza, peso). Da un lato é positivo, troppe “improvvisazioni” ci porterebbero comunque alla perdita di sementi e a frutti inmangiabili, dall’altro nasce un ulteriore pericolo, sia per la nostra biodiversitá che per la perdita di semi locali scelti e selezionati con dedizione con anni e anni di lavoro. La protezione delle varietà iscritte al Registro delle varietá europee, dura pure fino a vent’anni e prevede come unico distributore di tale seme chi sia riuscito a registrarlo: per i piccoli o medi un’azione quasi priva di speranze di riuscita.

Di norma peró vengono acquistati i semi o le piantine, perché fare il semenzaio é un lungo lavoro che richiede molta pazienza, cura e attenzione. Si tratta ormai quasi esclusivamente di semi ibridi (detti F1). Questi semi sono selezionati soprattutto per produrre molto, e a prescindere dalle realtà locali (terreno, clima, …), soltanto grazie all’impiego di abbondanti concimazioni con nitrati e di potenti trattamenti con pesticidi. Sono inoltre pensati per legare il cliente a riacquistare annualmente altre piantine. Difatti i semi che queste creature producono a loro volta, se riseminati, danno una produzione imprevedibile ed eterogenea, quindi invendibile e a lungo andare anche non più sicura per l‘alimentazione. È così i coltivatori comuni sono costretti ogni anno a comprare i semi dalle multinazionali.

I semi antichi, ossia i semi che i nostri nonni tenevano in serbo per le nuove semine annuali, erano semi scelti, adatti alle nostre terre, al clima … Poi un giorno con l’industria e il consumismo tutto é svanito e oggi piano, piano persone attente e sensibili stanno prendendo coscienza del danno. Ogni anno cosí, per comoditá e perché sennò non ne vale la pena, non conviene (!) ripiantano piantine bell’e fatte che si vendono in contenitori di plastica o di polistorolo, che poi svolazzano e si spargono solitamente nell’ambiente oppure vengono bruciate in faló, sprigionando ulteriore diossina!
Così i pomodori San Marzano arrivano dalla Cina e in Italia quasi quasi non si trovano più. Acquistiamo aglio pure cinese … specie antiche e locali dai gusti speciali vengono abbandonate, come l’aglio rosso di Sulmona (ai tempi della mia nonna era l’aglio della Vallata Peligna), … solo per fare qualche esempio. Il Sechium edule, noto pure come Chayote, masciuscio, zucca spinosa, … arrivó in Italia dall’America latina con i nostri primi emigranti di inizio Novecento: una manna, una pianta perenne che ogni anno regala in autunno per gran parte dell’inverno generosamente e con minimo impegno centinaia di frutti (per questo viene pure chiamata zucca centenaria) ricchi di vitamine, diuretici e nutrienti: la vergogna lo trasformó non molti anni fa in cibo per i maiali e poi neanche piú per loro. La prima pianta l’ho vista in una dimenticata contrada del Basso Cilento.

La Casa delle erbe

Ma perché é importante la biodiversitá? Eccovi un esempio chiaro e succinto: nel 1845 l’Irlanda visse un‘ennesima carestia, conosciuta nella storia come la Grande carestia. L’arrivo del fungo della peronospera distrusse tutto il raccolto di patate, allora alimento principale e quasi unico. Ai tempi veniva coltivata solo una specie, che si ripiantava da raccolto a raccolto, chiamata Lumper. L’arrivo della peronospera distrusse ogni raccolto quell‘anno e fu causa del decesso di oltre un milione di irlandesi!
Dal 2003 al 2015 ho vissuto per scelta con il mio compagno di vita nel Basso Cilento e ora in Abruzzo. Dove abitavamo prima ormai non sapevo piú cosa mangiare tra scandali, truffe alimentari (pure del biologico) e inquinamento. Di conseguenza anche la scelta di coltivare un orto naturale, che poi negli anni si é trasformato in orto sinergico e dopo varie distruzioni di quest’ultimo (prima sofferte poi apprezzate come un dono) ho iniziato ad approfondire una mia vecchia passione, le piante spontanee. Ho creato la mia Casa delle erbe dove essicco le piante raccolte e le trasformo, in grande semplicitá e a costi minimi, in oleoliti, tinture madre e tisane, e una piccola banca di semi di piante officinali autoctone, che da quattro/cinque anni distribuisco a tutti coloro che sono interessati, via posta o di persona. Le erbe aromatiche, che poi utilizzo sia per le cure del corpo e per la cucina, proteggono, aiutano e migliorano la coltivazione delle colture ortive (leggi anche la proposta Diffondiamo le Case delle erbe).

Oggi salvare i semi é un’azione importante come imparare a leggere e a scrivere. I semi liberi sono Vita. I media iniziano sempre di più a trattare questi temi e addirittura la Fao ha nominato il 2015 l’anno del suolo. Se non vengono adottati nuovi approcci, nel 2050 l’ammontare globale di terreni coltivabili e produttivi pro capite sarà pari a solo un quarto del livello del 1960.

Tornare ai rituali, attendere le stagioni – godendone di ognuna -, scegliere i semi, preparare le semenzaie, trapiantare, preparare trattamenti naturali e infine raccogliere e mangiare. Tutto ció é il far tesoro di un lavoro realizzato da esperienze e fatiche del passato e di ogni giorno non in laboratorio, con l’intento di creare dipendenze o profitti, bensì fatto in campo aperto, per creare solidarietà e mutuo sostegno fra i contadini.

di Daniela di Bartolo