Eterotopia

Eterotopia

Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».

Eterotopico è, per esempio, lo specchio, in cui ci vediamo dove non siamo, in uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al contempo, è un posto assolutamente reale, connesso a tutto lo spazio che lo circonda. Un altro esempio di eterotopo è il cimitero, unione/separazione simbolica della città dei vivi e dei morti, «l’altra città in cui ogni famiglia possiede la sua nera dimora».

Come sono eterotopie teatri, cinema, treni, giardini, collegi, camere d’albergo, manicomi, prigioni…

Forgiato sul modello del concetto di utopia, e come il suo simmetrico inverso, il concetto di eterotopia designa luoghi aperti su altri luoghi, luoghi la cui funzione è di far comunicare tra loro degli spazi. Laddove però le utopie designano ambienti privi di localizzazione effettiva, le eterotopie sono luoghi reali. Già ne Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane (1966) Foucault contrapponeva utopie ed eterotopie, scrivendo:

«Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme»…le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: si collocano nel rettifilo del linguaggio, nella dimensione fondamentale della fabula; le eterotopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica, dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi»
(tr. it. Milano, Rizzoli, pp. 7-8)

Nella conferenza tunisina Des espaces autres del marzo (1967)[1] Foucault articolava in sei princìpi le modalità specifiche delle eterotopie.

  • Il primo principio sottolinea il carattere di costante universale rappresentato dalla presenza di eterotopie all’interno delle diverse società del passato e attuali.
  • Il secondo insiste sulle variazioni particolari a cui le eterotopie sono sottoposte da parte della storia o della geografia, cosicché a seconda dei periodi o delle latitudini, il loro volto può essere assai diverso.
  • Il terzo principio evidenzia la possibilità intrinseca alle eterotopie di sovrapporre in un solo luogo diverse localizzazioni incompatibili (teatro, cinema, giardini).
  • Il quarto principio mostra la solidarietà delle eterotopie con le eterocronie: in tal caso spazi e tempi si sovrappongono. Mentre biblioteche e musei mirano a sospendere il tempo capitalizzando lo spazio, le feste, le fiere o più di recente i villaggi turistici si collocano deliberatamente nell’ambito del futile e dell’effimero.
  • Il quinto principio mostra che ogni eterotopia è fondata su un «sistema d’apertura e di chiusura che al contempo la isola e la rende penetrabile». Riti di ispirazione religiosa (hammam, bagni turchi) o meticolose disposizioni di sicurezza (caserme, prigioni) solennizzano di fatto l’ingresso nello spazio eterotopico.
  • Il sesto principio, infine, insiste sulla funzione propria dello spazio eterotopico nel suo correlarsi allo spazio esteriore, sia nella forma dell’illusione sia nella forma della compensazione.

Foucault chiudeva la sua conferenza sulle eterotopie con queste parole:

«Case chiuse e colonie sono due tipi estremi di eterotopia e se si pensa, dopotutto, che la nave è un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si autodelinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all’infinità del mare e che, di porto in porto, di costa in costa, da una casa chiusa all’altra, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse nascondono di più prezioso nei loro giardini, comprendete il motivo per cui la nave è stata per la nostra civiltà non solo il più grande strumento dello sviluppo economico, ma anche il più grande serbatoio d’immaginazione. La nave è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la polizia i corsari.»

eterotopìa s. f. – Termine medico impiegato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare quei luoghi reali, riscontrabili in ogni cultura di ogni tempo, strutturati come spazi definiti, ma «assolutamente differenti» da tutti gli altri spazi sociali, dove questi ultimi vengono «al contempo rappresentati, contestati, rovesciati». La funzione di questi spazi speciali, vere e proprie «utopie situate» in relazione a tutti gli altri spazi, è quella di compensarli, neutralizzarli o purificarli. Sono considerati esempi di e. la prigione, il giardino, il cimitero, il museo, il manicomio, il cinema, la nave. Il termine e. compare per la prima volta nella prefazione de Les mots et les choses (Une archéologie des sciences humaines) (1966), ma è attraverso le due conferenze radiofoniche Les utopies réelles ou «lieux et outres lieux» (1966) e la conferenza parigina del 1967, pubblicata con il titolo Des espaces autres, che il concetto viene meglio definito. L’idea di e. avrà diffusioni plurime, per es. tra i progettisti e i teorici dell’architettura e dell’urbanistica in quanto capace di rivelare la pluridimensionalità dello spazio vissuto, nonché tra i geografi, per dar conto delle formazioni territoriali generate dal colonialismo.

Per noi l’Eterotopia è stato, ed è, il luogo delle utopie realizzabili …